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IL REGISTA DI MATRIMONI Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 2 giugno 2006
 
di Marco Bellocchio, con Sergio Castellitto, Donatella Finocchiaro, Sami Frey, Gianni Cavina, Maurizio Donadoni (Italia, 2006)
 

Da sempre esistono due anime del cinema di Bellocchio. Contraddittorie, talvolta controproducenti; ma, alimentate da una possibilità di "far cinema" sempre presente, di giungere ad un discorso costantemente in grado di volare alto. Il primo Bellocchio è vicino alle preoccupazioni del presente, alle urgenze della società, della sua professione, della morale, della religione o della politica. Ed è quella che in IL REGISTA DI MATRIMONI lo induce ad illustrare la storia di Elica (un nome che è tutto un programma), regista in crisi per motivi più o meno imbarazzanti (e anche piuttosto prevedibili) come una visita della finanza; o l'insinuazione di condizionare i provini con le aspiranti attrici con prestazione care al presidente Clinton. Per queste, ed altre motivazioni più intime che lo invitano alla fuga (il film si apre con un matrimonio della figlia di quelli con officianti, catecumeni , sposi e invitati che rockeggiano sghitarrando salmi celestiali) il nostro si ritrova nello splendore barocco della Sicilia. Dove fronteggerà contingenze altrettanto prosaiche: un modesto collega che gli chiederà di aiutarlo a filmare il matrimonio della figlia del Principe decaduto locale, l'innamoramento con la bella imprigionata dalle tradizionali consuetudini locali, le grane con i picciotti per quel matrimonio che non s'ha da fare come nei "Promessi Sposi" che Elica sta tentando di portare a termine, l'incontro con un fu Mattia Pascal nelle vesti di un regista pure lui in fuga da quella Roma. E costretto a fingersi defunto per vincere finalmente un premio David anche se postumo.


Qui, l'avrete compreso, affiora sempre più prepotentemente (e non sempre limpidamente) la seconda delle anime del regista: quella che dall'evidenza del presente e pubblico risale alle preoccupazioni del privato, alle motivazioni psicanalitiche, al ricorso al sogno, all'utopia. E quindi all'uso immaginifico dei simboli, delle allegorie, dei meta-linguaggi. Bellocchio passa così dalla tragedia risolta nel sogno e nell'utopia dell'Aldo Moro dello splendido BUONGIORNO NOTTE, o dalla relazione tra sopraffazione e dogma, tra effetti, più che cause, della propria rivolta nei confronti del potere di L'ORA DI RELIGIONE ad una Sicilia arcaica, romanticamente esausta. Viaggia nella dissolvenza sapiente dei chiaroscuri coloristicamente snaturati, nell'invadente oggettistica testimone di una nobiltà sfatta ma sempre coercitiva: da DIVORZIO ALL'ITALIANA o dal GATTOPARDO all'universo più surreale, sovversivo e sarcastico bunueliano.


In quell'itinerario dalla realtà al sogno Bellocchio impreziosisce e pure arzigogola. Con intuizioni espressive che onorano il grande cineasta: l'invenzione sulla spiaggia di una "regia" che organizzi finalmente la realtà più squallida, l'occhio della mini-video che invade con i suoi pixel quelle spose di convenienza, la naturalezza del provino di Lucia. L'humour prezioso dei mastini di guardia cui bisogna rivolgersi in tedesco; ma pure il ritorno ad altri quadrupedi, simboli sempre più precisi ma anche più ovvii d potere. O incrostazioni video di un minaccioso quanto imprecisato dottor Mabuse.


   Il film in Internet (Google)

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